Isolamento sociale e fame generano reazioni simili nel mesencefalo

 

 

GIOVANNA REZZONI

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XVII – 28 novembre 2020.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

L’uomo, essere sociale per eccellenza, ha costruito con la sua vita nel corso dei millenni la storia di quell’insieme umano, sempre in evoluzione e in cambiamento e pure sempre uguale a sé stesso nella sua radice identitaria, che chiamiamo mondo. Se il mondo non può identificarsi tout court nella società è però nella socialità che si costituisce l’ordine simbolico attraverso cui si interpreta e si comunica il senso e, anche se accettiamo l’utile e logica concezione di Wittgenstein, secondo il quale l’insieme dei fatti costituisce il mondo, dobbiamo riconoscere che la maggior parte dei fatti si sviluppa nell’interazione fra persone, e anche i fatti prodotti da un singolo esistono in quanto si rappresentano presso la collettività.

Ciascuno di noi, nascendo, entra nel piccolo insieme di una famiglia inserita in una realtà sociale, a sua volta inscritta in una dimensione più grande che, per progressive e crescenti unità di appartenenza, è parte dell’umanità[1]; dunque una parte essenziale dell’identità di ciascuno è sociale.

Anche il mito dei “geni solitari”, se si legge la loro biografia con attenzione e sensibilità psicologica, viene a cadere mostrando, in genere, una socialità selettiva ma sempre molto importante.

Emblematico è l’esempio di Marcel Proust, considerato quasi misantropo perché costretto dal suo lavoro letterario a trascorrere giorni interi da solo a scrivere e rielaborare, ma in realtà socievole, come ce lo descrive l’amico Georges de Lauris[2], il quale racconta che nelle conversazioni di società o di salotto, l’autore de Alla ricerca del tempo perduto fosse tutt’altro che scostante e tendesse a compiacere l’interlocutore, cercando in primo luogo sintonia e condivisione, accantonando preferenze personali troppo lontane dai gusti della persona con la quale stava parlando, e spesso mostrandosi incline ad entrare in amicizia. Al punto che de Lauris dice che era difficile indovinare senza chiederglielo quale persona lo avesse veramente colpito, perché lui voleva solo “accontentare e contentarsi” per soddisfare il bisogno di condivisione affettiva.

Proust, sebbene fosse tentato di limitare la cerchia delle frequentazioni a persone del suo livello culturale, era in realtà aperto all’amicizia anche con persone dagli interessi molto limitati e criticava chi concepiva l’amicizia come un’intesa intellettuale; scrive, infatti: “…qualunque fosse la mia opinione sull’amicizia […], non c’è beveraggio tanto funesto da non poter diventare, in certi momenti, prezioso e tonificante, dandoci la sferzata che ci era necessaria, il calore che non possiamo trovare in noi stessi”[3]. Proust, infatti, critica Nietzsche per aver rotto il rapporto di amicizia con Richard Wagner, solo perché il grande compositore non condivideva gli sviluppi della sua filosofia[4]. D’altro canto, lo stesso Nietzsche, prima che i disturbi mentali lo portassero a scegliere l’isolamento, cercava la socialità e lamentava l’abbandono da parte dei suoi vecchi amici, perché sentiva il bisogno di rapporti umani.

Nella massima parte dei casi fisiologici, infatti, il bisogno di ritirarsi e stare da soli deriva da eccesso di esposizione, affaticamento per interazioni troppo intense, frustrazioni derivate da incontri sociali o necessità di riflessione interiore, in “autocoscienza”, come si era soliti dire un tempo. L’alternanza fra stato di interazione multipla e ritiro nella ristretta cerchia dei rapporti essenziali o in vera e propria solitudine introspettiva, sembra essere il regime comportamentale migliore per la maggior parte delle persone.

In semeiotica psichiatrica la tendenza a isolarsi, in persone che non vivono eccessi di socialità, è considerata un probabile indice di stato depressivo, più o meno espresso, che suggerisce un approfondimento, soprattutto per verificare se la spinta non sia realmente depressiva e derivi da consolidate abitudini di vita (casi rari) o sia propriamente depressiva e, in tal caso, se sia una reazione ad un’esperienza recente o la conseguenza di un vero e proprio disturbo del tono dell’umore.

Secondo Giuseppe Perrella esiste nel nostro cervello una rappresentazione attiva delle persone che incontriamo, regolata da plasticità sinaptica come temporaneo incremento funzionale soggetto a decrescere nel tempo, se non riattivato da nuovi incontri. Tale attività indotta da socialità contribuirebbe alla fisiologia psichica di fondo; nella misura in cui ciascuna rappresentazione attinge a livelli coscienti di riconoscimento identitario e investimento affettivo, prende parte alla platea di persone introiettate alla quale implicitamente si rapporta buona parte dell’attività intrapsichica. Le persone più importanti, tra gli affetti di ciascuno, assumono il ruolo intrapsichico di allocutori, ossia testimoni o referenti di atti mentali coscienti, e non hanno bisogno di rinforzi di attualità[5]. In questa interpretazione, Perrella distingue l’effetto generico di attivazione, indotto anche da persone anonime, da quello specificamente legato a identità di rilievo affettivo[6].

Tale visione non riduce, come si fa nella massima parte degli studi attuali, l’incontro sociale a una circostanza in grado di generare piacere, attivando il sistema a ricompensa[7], ma gli riconosce un effetto principale ben più significativo e indipendente dall’eventuale innesco dei circuiti normalmente attivi nel piacere e nella motivazione.

Il primo lock down di marzo e aprile, e in parte le restrizioni attuali, ci aiutano a comprendere gli effetti psicologici di una privazione di rapporti sociali, anche se chi è rimasto a casa in famiglia ha sperimentato una condizione ben diversa da chi vive da solo; in ogni caso, si comprende come la completa solitudine possa costituire uno stimolo potente alla ricerca dell’incontro con gli altri[8].

Livia Tomova, con vari colleghi coordinati da Rebecca Saxe, ha deciso di verificare, mediante risonanza magnetica funzionale (fMRI, da functional magnetic resonance imaging) in un campione di 40 volontari in buone condizioni di salute, l’ipotesi che il bisogno di interazioni sociali possa generare un’attivazione funzionale paragonabile a quella causata dal bisogno alimentare.

(Tomova L., et al. Acute social isolation evokes midbrain craving responses similar to hunger. Nature Neuroscience 23, 1597-1605, 2020).

La provenienza degli autori è la seguente: Department of Brain and Cognitive Sciences, Massachusetts Institute of Technology, Cambridge, MA (USA); Salk Institute for Biological Studies, La Jolla, CA (USA); Center for Brains, Minds and Machines, Massachusetts Institute of Technology, Cambridge, MA (USA); McGovern Institute for Brain Research, Massachusetts Institute of Technology, Cambridge, MA (USA).

Gli esperimenti, ormai celeberrimi, di deprivazione sensoriale totale condotti nel secolo scorso dimostrarono che un tempo non molto lungo di completa assenza di stimoli visivi, uditivi, gustativi, olfattivi e tattili è in grado di indurre sintomi psicotici in persone altrimenti sane e in perfetto equilibrio psico-fisico. Questa drammatica prova che il più sviluppato ed evoluto equilibrio neuropsichico del regno animale sia strettamente dipendente dall’informazione in entrata fornita dall’attualità funzionale dei canali sensoriali, stabilisce che l’interazione con il mondo circostante è una necessità biologica. Non meraviglia, dunque, che anche la qualità di questa interazione possa avere un peso significativo nell’equilibrio psichico e, dunque, possa essere regolata attraverso meccanismi che determinano richieste spontanee, verosimilmente indotte da segnali di errore generati da astinenza.

Il bisogno di socialità può essere letto così in chiave neurobiologica: “Attualmente si studiano gli stati motivazionali distinguendo quelli, come fame, sete e richiesta di equilibrio termico, al servizio di bisogni di regolazione da quelli, come l’eccitazione sessuale, indotta da imperativi biologici della specie. […] I bisogni di regolazione inducono l’attività di richiesta o ricerca attraverso segnali molecolari dello stato di carenza o deficit, mentre bisogni non regolatori sembrano originare da segnali di errore prodotti dal sistema nervoso centrale: una lunga astinenza sessuale genera un segnale d’errore che promuove il comportamento di ricerca del partner[9]. Allo stesso modo, il confinamento protratto in uno spazio circoscritto genera il comportamento esplorativo[10].

Dunque, esclusa la regolazione ipotalamica specifica per il controllo neurovegetativo del comportamento alimentare attraverso l’induzione di fame e sazietà, ci si chiede quali circuiti, e in quale segmento dell’encefalo, possono presentare attivazione simile?

Tomova e colleghi hanno disposto per i partecipanti volontari (40 in totale) una condizione di assoluto digiuno per 10 ore di seguito, dalle 9 del mattino alle 19 di sera, con la possibilità di assumere solo acqua fino all’esecuzione della fMRI dell’encefalo; in alternativa, i volontari sono stati individualmente reclusi in una camera di isolamento, dove avevano la disponibilità di una sedia, una scrivania e un frigorifero fornito di cibo e bevande[11]. Anche l’isolamento ha avuto la durata di dieci ore.

Le scansioni fMRI sono state eseguite durante prove in cui i volontari erano sottoposti a stimoli costituiti dalla presentazione di cibi o di circostanze sociali, per registrare le risposte di attivazione neurale evocate da quella vista. Dopo l’isolamento tutti hanno riferito di aver avvertito solitudine e di desiderare di incontrare altre persone. Regioni encefaliche corrispondenti al mesencefalo, dopo il digiuno, presentavano attivazione selettiva per gli stimoli costituiti da cibo; dopo l’isolamento in corrispondenza del mesencefalo si è registrata un’attivazione altrettanto specifica per gli stimoli sociali; le reazioni encefaliche erano perfettamente coerenti con quanto riportato dai volontari, che riferivano intenso desiderio per gli stimoli evocatori di quanto era mancato per 10 ore.

L’attivazione di regioni corrispondenti allo striato, ossia strutture esecutive dei nuclei della base del telencefalo, e di aree della corteccia cerebrale ha fornito le immagini di due configurazioni funzionali corrispondenti in modo specifico e caratteristico all’appetito alimentare e al desiderio di interazione umana.

Lo studio analitico degli effetti delle sessioni di deprivazione di rapporti ha consentito ai ricercatori di rilevare che, anche solo un tempo così limitato di mancanza di vita sociale, induce nell’encefalo una modificazione del profilo funzionale consistente nella restrizione del campo delle risposte motivazionali e nella loro focalizzazione in modo esclusivo sull’oggetto del desiderio, cosa che non avveniva nello stato funzionale associato alla fame.

Il risultato dello studio, che supporta la similitudine intuitiva tra desiderio di cibo e di interazione sociale, consiste in suggestive immagini fMRI, ma non fornisce una dimostrazione neurofisiologica di attività neuronica in circuiti funzionali equivalenti. Sarà necessario attendere il compimento di tutti i passi sperimentali necessari ad un’analisi neurobiologica specifica, accurata e comparata per la verifica di un reale sostrato equivalente.

 

L’autrice della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Giovanna Rezzoni

BM&L-28 novembre 2020

www.brainmindlife.org

 

 

 

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[1] Oggi interconnessa nell’attualità comunicativa del “villaggio globale” e non più solo da sporadici eventi della storia.

[2] Georges de Lauris è l’amico che in gran parte ispira il personaggio di Robert de Saint-Loup nella Ricerca.

[3] Marcel Proust, Alla Ricerca del tempo perduto. [cit. tratta dalla versione online del libro, che si può trovare digitandola nel settore ricerca del sito books.google.it] Mondadori, dall’edizione in 4 volumi della collezione “I Meridiani”, Mondadori, Milano 1983-1998.

[4] Nelle Lettere, che furono pubblicate sul Journal des Débats nel 1909, Nietzsche si scaglia contro Wagner definendolo “genio della menzogna”, per averlo attratto con la sua musica e le sue idee e poi non averlo seguito.

[5] Giuseppe Perrella, comunicazione personale.

[6] Giuseppe Perrella, idem.

[7] In particolare si studiano gli effetti su VTA (area tegmentale ventrale) e nucleo accumbens.

[8] Un’eloquente rappresentazione del bisogno di socialità è drammaticamente rappresentata nel film Cast Away, in cui il protagonista, unico sopravvissuto di un incidente aereo, è naufrago su un’isola deserta; nel relitto dell’aereo trova un pallone sul quale disegna un volto, trasformandolo in un compagno immaginario. Quando una tempesta gli porta via il finto compagno, l’attore si dispera come se avesse realmente perso una persona cara.

[9] Sembra sia costituito da un FAP (fixed action pattern) tipico della specie.

[10] Note e Notizie 04-07-20 Il desiderio tra sogno e responsabilità.

[11] Prima dell’esperimento, i volontari sono stati perquisiti per assicurarsi che non nascondessero telefoni cellulari, smartphone, tablets e qualsiasi altro dispositivo di comunicazione con l’esterno.